RIFLESSIONI SULLA MARATONA E SULLA VITA



Questa mattina stavo ascoltando la radio. C’era un’intervista ad un ragazzo colpito da una grave e rarissima malattia. Tra le tante e ovvie difficoltà che questo stato comportava, evidentemente il ragazzo aveva trovato la forza per vivere i propri giorni con gioia e anche con speranza. Nonostante sapesse che la propria aspettativa di vita fosse decisamente inferiore alla norma. Raccontava della propria storia e del fatto che avesse appena coronato un proprio sogno: un viaggio negli USA attraverso la route 66.
Ciò che mi ha veramente fulminato dell’intervista, però, è stata la risposta ad una domanda abbastanza banale ma, viste le circostanze, dovuta: “se potessi chiedere una cosa, quello che più ti manca, quello di cui la tua vita ti ha privato, cosa chiederesti?”
Avrei immaginato che questo ragazzo avrebbe risposto in modo scontato chiedendo cose grandi, cose che ai più sarebbero sembrate irrinunciabili.
Ebbene la risposta è stata secca e shoccante: “correre”.
Ho avuto un sussulto. Quanto valore diamo a ciò che facciamo ogni giorno? Quanto diamo per scontati certi aspetti della nostra esistenza?
È stato in quel momento che ho cominciato a riflettere su cosa significa “correre” per me e come ha inciso questa attività sul mio modo di affrontare la vita.
Quelle che seguono sono le mie idee e i miei pensieri raccolti disordinatamente. Prendeteli per quello che sono: una annotazione fine a se stessa, senza l’ardire di insegnare nulla a nessuno; magari soltanto con la curiosità di confrontarmi con chi, molto più esperto di me, potrebbe condividere i miei stati d’animo.
MARATONA METAFORA DI VITA
Praticare la corsa in generale e la maratona in special modo, mi ha svelato come ci sia una profonda correlazione tra l’attività sportiva e l’intera vita di un uomo. L’approccio a questa attività forma il carattere e infonde insegnamenti che possiamo estrapolare dal contesto per farne uso ogni giorno, nelle esperienze quotidiane.
Quante volte mi è capitato di non dare sufficiente importanza alla preparazione di un esame all’università o di un compito in classe a scuola?! Non sono mai stato un secchione ma era ovvio che se mi impegnavo e studiavo con serietà i risultati miglioravano. Non si improvvisa nulla. Puoi avere culo una volta. La prof ti può fare proprio la domanda che speravi. Ma la seconda, la terza, la quarta…. “…Salulini meglio che si ripresenti al prossimo appello…”
Diciamo che la scuola non è proprio come la vita: nella vita, come nella maratona, quasi mai c’è un “prossimo appello”: se vuoi arrivare al traguardo bisogna che ti alleni duramente nei mesi precedenti.
Correre mi ha insegnato ad essere duro con me stesso. A non accettare le “giustificazioni” che il cervello elargisce con tanta generosità pur di non affrontare una levataccia o un allenamento lungo.
E poi c’è qualcosa di più… allenarsi duramente, con costanza, con dedizione, può anche non bastare.
L’IMPREVISTO
Durante la mia prima maratona (Roma 2014) ho visto i sorci verdi. Ho sofferto come un cane e dal trentesimo chilometro al traguardo ho letteralmente vaneggiato. Parlavo da solo e mi rispondevo. Mi esortavo e mi insultavo. La parte di me che voleva mettersi la medaglia al collo combatteva contro quella che si sarebbe tranquillamente fermata al bordo della strada, soddisfatta di quei trenta e “magari andrà meglio la prossima volta”. Non dimenticherò mai la gioia provata nel ricevere inaspettatamente una bottiglia di gatorade dal mio amico Abramo, quando i ristori erano lontani ed io ero allo stremo.
In tutto questo ero circondato da runners che invece procedevano spediti e apparentemente per nulla affaticati. E riflettevo sul fatto che forse avevo improvvisato questa avventura e che i miei allenamenti magari non erano stati adeguati.
Ad un certo punto vidi a terra sul marciapiede un mio compagno di società. Un ragazzo che aveva corso numerose maratone e che aveva nelle gambe tempi che io non mi sarei potuto nemmeno azzardare ad immaginare.
Era disteso ed in preda ai crampi; i volontari lo coprivano con un telo e cercavano di aiutarlo.
In quel momento ho pensato a quanto tempo quel ragazzo aveva investito nella preparazione della maratona, a quante maratone aveva corso ed alla delusione che doveva provare in quel momento.
Fu una spinta ulteriore per me che mi consentì, insieme al gatorade di Abramo, di raggiungere per la prima volta il fatidico km 42,195.
Ne trassi un insegnamento grande: puoi pianificare ogni cosa, puoi prepararti al meglio, anzi devi farlo perché questo è l’unico modo per limitare le possibilità di insuccesso, ma l’imprevisto è sempre possibile. Qualche volta è rappresentato da un piccolo errore. Qualche volta dal caso (cosa direbbe il mio amico Antonello che si vide annullare la maratona di NY il giorno prima di correrla?). Ciò che conta è l’esperienza che si trae da questi insuccessi. Rialzarsi e non mollare. Ma occorre rimanere umili e concentrati anche se è l’ennesima volta che affrontiamo una situazione nota. Non c’è giorno uguale all’altro. Non c’è maratona uguale alla precedente.
PESSIMISMO ED OTTIMISMO
Il carattere contraddistingue ciascuno di noi e ci connota nell’approccio alla vita. La stessa cosa accade con la corsa. Ci sono runners che affrontano la gara con gli occhi determinati, quelli che la vivono con allegria e in modo scanzonato, quelli che la sentono come un combattimento, che sgomitano alla partenza e sono molto competitivi.
Nella corsa come nella vita c’è chi parte con la certezza che andrà tutto bene e chi, invece, teme di non farcela, è insicuro, vacilla.
A prescindere da quale sia la propria propensione caratteriale, se corri per un tempo sufficiente la maratona ti insegnerà invariabilmente un trucco che, secondo me, è sommamente importante: visualizzare il traguardo.
Dalla mia esperienza ho imparato che, anche nella vita di tutti i giorni, concentrarsi sul risultato finale è l’unico modo per non perdersi d’animo nelle difficoltà quotidiane. Quando suona la sveglia alle 5:30 del mattino e fuori diluvia o ci sono 2 gradi io non vedo né la sveglia, né la pioggia e nemmeno il velo di ghiaccio che ricopre le auto parcheggiate davanti a casa mia. Io vedo solo il gonfiabile del traguardo della maratona che sto preparando e sento nelle orecchie il grido della gente che mi esorta lungo gli ultimi cento metri. Sento sulle labbra il sapore delle lacrime di gioia versate l’ultima volta. Riassaporo la soddisfazione di aver dimostrato a me stesso che posso raggiungere risultati inimmaginabili.
Questo fa di me un uomo determinato? Un ottimista? No. Non direi. Al contrario, probabilmente io sono un inguaribile pessimista con propensione alla malinconia. Ma correre mi ha insegnato anche a superare questi aspetti del mio animo che, in passato, mi rendevano difficile la quotidiana esistenza.
Nel lavoro guardo oltre il momento di difficoltà e interpreto le complicazioni come affronto le salite in allenamento: servono per le gambe, per il fiato, sono utili.
A ben guardare insomma, la corsa ti aiuta ad interpretare in modo positivo gli aspetti della vita quotidiana. Ti rende un ottimista. O se proprio non ci riesce, comunque ti insegna un sacco di trucchi per ingannare te stesso.
DOLORE E ASPETTATIVE
Alzi la mano chi, praticando questo sport, non ha mai sofferto per una contrattura, una tendinite, un malessere.
È una cosa comune perché, si dice, si tratta di un’attività usurante e il fisico a lungo andare ne risente.
Sono d’accordo, ma poi penso che questo è un altro insegnamento che la corsa mi ha regalato.
Ho acquisito la capacità di convivere con il dolore, con la fatica, con certi fastidi ed ho imparato a riconoscere quelli di “routine” ed a distinguerli da quelli “importanti” per cui occorre prendersi una pausa.
Non c’è vita che possa trascorrere senza dolore ma bisogna sapere che è una cosa normale, che non accade solo a noi, che tutti soffrono e corrono ugualmente. Che una certa percentuale di doloretti accompagna qualsiasi attività della vita: sia che i doloretti siano fisici, sia che siano psicologici.
Stringere i denti è essenziale per andare avanti sempre. Troppe volte ci facciamo un’idea di quello che “dovrebbe” essere la nostra esistenza, secondo quelle che sono aspettative assurde e spesso derivanti da realtà farlocche propinate dalla televisione, dai film. La vita nel mulino bianco non esiste. La gara senza affanni non esiste. L’allenamento senza intoppi non esiste.
Esiste la sofferenza, la “tigna” e poi esiste la nostra vita. Con i propri pregi e i propri difetti.

LA CORSA E LA COSTITUZIONE
C’è un articolo della costituzione che spesso viene travisato nella concezione comune.
È l’art. 3 e recita così: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
A prima vista non c’entra niente con la corsa. Sono concetti troppo lontani per essere avvicinati.
Eppure io ci ho sempre visto una correlazione assoluta tra il concetto di pari dignità descritto in questo che è uno dei principi fondamentali e l’esperienza di partire al colpo di pistola di una maratona.
Riflettendoci bene, infatti, non esiste nessun altro sport in cui si abbia la possibilità di gareggiare insieme agli atleti più blasonati del mondo, ai recordman, a quelli che vediamo in televisione.
C’è forse uno di noi che potrebbe sperare di giocare una partita a pallone con il proprio idolo calcistico? Con Totti, con Del Piero? C’è qualche appassionato di motociclismo che avrebbe la possibilità di sfidare Valentino Rossi in gara?
La maratona, invece, ogni volta ci fornisce la possibilità di partire accanto (o al massimo 50 metri dopo) ai massimi esponenti di questo sport, a coloro che detengono i record del mondo.
Davanti alla maratona abbiamo tutti pari dignità. Veramente. Dietro alla linea dello start siamo la raffigurazione migliore di quello che la garanzia della Costituzione dovrebbe rappresentare nella vita di tutti i giorni. Ogni ostacolo di qualsiasi ordine è rimosso per lasciare i nostri talenti, i nostri sforzi, le nostre gambe liberi di portarci al traguardo secondo l’ordine meritocratico più assoluto che si conosca. Non siamo affatto tutti uguali, ma siamo tutti messi nella condizione di partire dalla stella linea. Poi vinca il migliore.

RICONOSCERE IL TALENTO SENZA FERMARSI ALLE APPARENZE
Io corro da poco più di due anni ed ho raggiunto risultati, per me, inimmaginabili all’inizio. Non sono un campione ma nemmeno scarsissimo. Allenandomi con costanza miglioro e, piano piano, ottengo tempi di cui andare soddisfatto.
Poi incontro qualcuno che mi chiede consiglio sull’abbigliamento da scegliere, sulle scarpette da comprare su quante volte alla settimana è opportuno allenarsi e quanto a lungo.
Questo qualcuno dopo un paio di settimane misura i propri tempi e così, di botto, scopre che è velocissimo e che corre in scioltezza… in modo naturale… molto più veloce di me.
Anche a scuola c’erano quelli bravi, quelli che gli bastava un attimo e capivano la soluzione del problema di matematica mentre io ero ancora a fare le prove sulla brutta copia.
Giocando a pallone poi c’era quello che mi smarcava sempre o che aveva il tiro potente che io non ho mai avuto.
Tutto questo per dire che ognuno ha il proprio talento e occorre riconoscerne il valore. La corsa ti spiega, con dovizia di particolari, che ognuno può avvicinarsi a questo sport con la speranza di ottenerne soddisfazioni piccole o grandi. Non servono grosse attrezzature o costosi accessori. Bastano due scarpe. Il resto è gamba e cuore. E ogni gamba e ogni cuore è differente. In gara mi è capitato di venire superato da vecchiette rinsecchite che non avrei immaginato capaci nemmeno di attraversare la strada e mi è successo anche di vedere in crisi colossi giovani ed atletici dai muscoli scolpiti.
E allora è meglio sforzarsi di “ascoltare” chiunque la vita ci ponga di fronte, non fermarsi alle apparenze e porsi con atteggiamento aperto e positivo. Pronti a stupirci di scovare una persona interessante, capace, originale; o magari un vero stronzo ma ben vestito.

PREMIARSI
Voglio concludere questa raccolta di riflessioni con uno dei concetti che più hanno cambiato la mia vita da quando corro.
La mia consueta insoddisfazione mi rendeva difficile riconoscere i successi della vita e goderne.
Se mi accadeva qualcosa di positivo, invece che concentrarmi sul risultato ottenuto, tendevo a pensare a quanto di meglio sarebbe potuto accadere. Quanto di più grande avrei potuto fare. Le aspettative di cui parlavo prima erano sempre maggiori della realtà.
Non mi premiavo mai.
Questo è deleterio e concorre a dare una rappresentazione della vita distorta e oscura.
La corsa, la gara, la maratona, mi hanno insegnato a rispettarmi di più. A dare il giusto peso alle mie azioni e a concedermi una bella pacca sulla spalla.
Al traguardo, quando vedi tutto bianco e i singhiozzi e le lacrime si mischiano al sudore, hai vinto anche se sei settecentesimo (questo è un concetto che fatico a far capire a mio figlio di sei anni che mi chiede ogni volta se ho vinto… e rimane deluso nel sapere che non sono nemmeno nei primi cento).
Quando indosso la medaglia di finisher sento l’oro al collo. Quando mangio il mio ritter sport alla nocciola mi concedo il cibo degli dei.
Fermarsi e congratularsi con se stessi fa bene all’anima e alimenta l’autostima. Serve nello sport ma, soprattutto, ci rende migliori.

Forse quel ragazzo dell’intervista di stamattina, tutte queste cose le ha imparate dalle difficoltà che la propria malattia gli ha imposto di provare. Forse il suo sogno di “correre” è motivato da altre ragioni.
Per me che domani mattina potrò farlo, non è un sogno.
Per me, ormai, è un bisogno. 


Giampaolo Salulini

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